04/01/12

Noi Albinoi

 
(Dagur Kàri, Islanda 2003) 
Con Tómas Lemarquis, Thröstur Leo Gunnarsson, Elín Hansdóttir, Hjalti Rögnvaldsson, Pétur Einarsson, Anna Fridriksdóttir
-->


Nói Albínói è un doppio film.
Il primo è inerte e gelido. Votato all’annullamento dell’azione, della scena madre; uno scorrere monocromatico/blu di eventi di raccordo.
Il secondo è sottile contagio aerobico di un disagio interiore. Un’ infezione che prolifera nel ghiaccio fino a saturare l’inquadratura.
Questo è il motivo per cui Nói Albínói è un film profondamente intriso dall’odore di morte.
Nói scalpita, tuttavia. Albino, privo di impurità esattamente come la terra che lo riveste, sogna e getta speranze al di là dei confini che delimitano la sua esistenza. Eppure è un ragazzino vagamente ribelle, poco simpatico; l’esatto opposto di un eroe romantico. C’è tuttavia una crudeltà ancestrale che spinge a provare passione per questo artico Pierrot, ed è fotografata dalla mimesi formale tra Nói e l’ambiente in contrapposizione con le due antitetiche anime: rabbiosa quella individuale, derisoria quella naturale. Da questo punto di vista, l’orrore è celato in un contesto che influenza la società fino a plasmare automi che ne rispecchiano tutta la crudeltà. Padre alcolizzato e indefesso, preside burattino, nonna attonita…nessuna concessione all'imprevedibile o all'insolito: anche gli iniziali sussulti dell'amore sono congelati in un rifiuto senza repliche.
Ecco che si entra in territorio di contraddizioni. Avendo inizialmente teorizzato che sia un disagio interiore a contaminare l’ambiente, come può questo a sua volta infettare le lumache umanoidi che vi appartengono? Forse il gelo (geografico e spirituale) che avvolge la vicenda altri non è che allegoria di una personalità in via di lobotomizzazione. Ciò che fodera il microcosmo della vicenda non è un ambiente ostile a se stante, ma una proiezione del lento annichilimento di Nói stesso.
Cambiano prospettive, si confutano le precedenti riflessioni per tornare al grado zero dell’analisi. Scrivere senza aver scritto niente. Vivere le vicende senza lasciare traccia, resettando bruscamente la propria precedente esistenza… in tal senso, epilogo illuminante che, finalmente, distende sulle circostanze un bagliore di (pur vacillante) speranza.